Alce, grandi ungulati e acquatici a volontà. Luogo magico in cui riscoprirsi cacciatore
Pur non essendo un cacciatore appassionato di ungulati, per puro caso ho accompagnato un caro amico medico, in un viaggio per me di lavoro e per lui di caccia all’alce. Enrico, lo chiameremo così per convenienza, proviene da una famiglia benestante di Verona. Ha raccolto la passione della caccia agli ungulati dal papà, noto medico chirurgo, e ancora prima dal nonno farmacista. Ho avuto la fortuna di conoscerlo, il nonno, il quale ci raccontava che negli anni appena dopo la guerra gli ungulati in Italia erano molto pochi. Anche i cacciatori erano pochi: quasi esclusivamente chi viveva in campagna o in montagna, quasi sempre figli di contadini-allevatori.
Nel Veneto, dove io vivo, nell’entroterra del lago di Garda, mio padre mi raccontava che negli anni immediatamente dopo la guerra la caccia era una necessità alimentare. Fino alla seconda guerra mondiale il Veneto era terra di grande povertà e di emigranti. Chi viveva in queste zone doveva necessariamente cercare di portare a casa del cibo attraverso la caccia, oppure con le trappole, o con le reti, o gli archetti. Gli animali da cortile allevati venivano poi venduti per comprare, ad esempio, il sale, al tempo molto raro e costoso, o medicine, le poche in circolazione, che potevano curare i postumi di una guerra crudele. Ecco spiegato, a grandi linee, quanto la caccia e tutto il resto abbiano aiutato molta gente a vivere se non a sopravvivere.
Altra categoria di cacciatori erano quelli provenienti dalle famiglie nobili e benestanti. Proprietari terrieri, medici, farmacisti, notai e tutta quella piccola parte di popolazione che aveva la possibilità di vivere nel benessere. Erano quei cacciatori che già allora utilizzavano la caccia per diletto, per passione, per piacere, non certamente per necessità. Loro, “i siori”, quasi tutti praticavano la caccia ai grandi animali come caprioli, cervi, camosci, stambecchi. Poche zone d’Italia in quel tempo ospitavano questi animali. Le montagne piemontesi, quelle dell’alta Lombardia e dell’Alto Adige fino al Friuli erano le loro zone di caccia. Ecco, Enrico ha ereditato la passione per la caccia agli ungulati da una famiglia benestante. Prima il nonno e poi il papà gli hanno trasmesso l’istinto selvatico del cacciatore.
Anche Enrico ha cacciato i primi animali in alta montagna, per poi scendere data la grande diffusione di capriolo e cervo, con la possibilità di incontrarli e cacciarli anche nelle nostre zone. Poi, come per tutti i cacciatori che hanno una visione diversa della caccia, nasce il desiderio recondito di fare qualcosa d’altro. Di incontrare nuovi territori, di imparare come e dove vivono altri animali, vivere nuove emozioni magari fuori dall’Italia. Enrico, che ho seguito più di una volta a caccia, avendo una quota in una riserva piemontese (caprioli, cervi e camosci), mi aveva espresso il desiderio di cacciare l’alce. Era impressionato dalla forza di questo animale e dalla maestosità del palco dei maschi.
Il più grande cervide esistente vive esclusivamente nell’emisfero boreale ed è prevalentemente legato a grandi foreste fredde. Da due anni Enrico aveva espresso questo desiderio e aveva già preso contatti per cacciarlo in Estonia. Il suo contatto era il titolare di un hotel in una regione ricca di questi animali. Poi mi raccontò di essersi fermato a causa del costo troppo elevato dei i servizi dell’agenzia e l’abbattimento di un maschio di alce. Poi era accaduto che, durante l’HIT SHOW di Vicenza, conoscessi Dimitri, un operatore bielorusso che parlava perfettamente l’italiano. Anche lui nel settore dei viaggi venatori, stava cercando dei partner per ospitare cacciatori italiani in Bielorussia soprattutto per la caccia primaverile ad acquatici e ungulati. Dopo questo contatto concordai con Dimitri una visita alle zone di caccia in Bielorussia, per poi poter consigliare ai nostri clienti le cacce migliori.
Non avevo dimenticato la promessa che, due anni prima, avevo fatto ad Enrico: di fronte alla possibilità di un viaggio in un paese che ospitasse l’alce, lo avrei avvertito e consigliato. Quel momento stava capitando e, subito, concordai con Dimitri il mio arrivo e quello di Enrico e, contestualmente, anche l’eventuale cacciata di Enrico. Il mio amico ne fu entusiasta sia per il prezzo che per la mia compagnia in un paese poco conosciuto ed extracomunitario.
Ai primi di ottobre, dopo aver controllato la validità dei nostri passaporti, partiamo dall’aeroporto di Milano Malpensa, destinazione Minsk, con la compagnia aerea di bandiera Belavia. Volo piacevole e tranquillo; in aeroporto, dopo le formalità burocratiche dei controlli in arrivo, incontriamo Dimitri che ci sta aspettando in uscita. Ci prendiamo un caffè in un bar dell’aeroporto e lì, nel suo perfetto italiano, Dimitri ci dice che partiremo tra poco, probabilmente per Pinsk, cittadina di piccole dimensioni tipicamente agricola, immersa nelle pianure e nelle foreste confinanti con l’Ucraina. Sono all’incirca 300 km di strada, per così dire, poco scorrevole, al punto che ci vorranno circa quattro ore con il suo Pajero, vecchio di una decina d’anni ma ben tenuto.
A metà strada Dimitri vuole fermarsi e farci vedere alcune zone di caccia dove ci sono, a suo dire, un bel po’ di brigate di starne. “Almeno 30/40 voli, su di una superficie di 20 mila ettari di territorio agricolo”, assicura. Può essere sicuramente vero, il territorio è costellato di piccole coltivazioni agricole quali erba medica e frumento, con inoltre orti con coltivazioni di verdure e altri cereali. Ripartiti, dopo dieci minuti Dimitri riceve una telefonata da un suo amico guardiacaccia di un’altra zona rispetto a quella prevista per noi. Dialoga telefonicamente con questo personaggio almeno per un quarto d’ora, dopodiché ci dice che questo guardiacaccia, quella mattina, aveva avvistato in bramito almeno tre maschi di alce, di cui uno maestoso. Doverosamente ci chiede il nostro parere circa l’ipotesi di cambiare destinazione rispetto a quella prevista. C’è un bel po’ di strada in più, ma le indicazioni del guardiacaccia hanno fatto lievitare le possibilità di un abbattimento. Noi lo rassicuriamo sulla nostra assoluta fiducia: ci deve pensare lui, certamente farà di tutto per accontentarci e fare bella figura.
Nuova destinazione è, dunque, la città di Brest, ai confini con la Polonia. Arrivati con il buio, dopo sei ore di strada, ci sistemiamo in una casa di caccia dell’associazione dei cacciatori di Brest dove ci stavano già aspettando, avvertiti da Dimitri e, per loro tradizione, appena entrati dopo i cerimoniali di benvenuto ci offrono subito un liquore simile alla Palinka romena, dalla grande forza alcolica e dal buon profumo di prugna. Ci fanno accomodare in due camere pulite e molto calde (mi ero molto raccomandato con Dimitri). Fuori non è freddissimo ma siamo pur sempre a zero gradi, e per noi italiani questa temperatura rasenta il freddo siberiano!
Ci ritroviamo per cena nella sala, di fronte a un grande camino perfettamente funzionante e di buon auspicio. La casa è una struttura mista di cemento e legno, e si sentono i profumi della cucina della carne di selvaggina con il tipico sentore di selvatico. Ma è piacevole. E’ quello che secondo me un cacciatore vuole sentire in un posto come questo. Arriva poi il guardiacaccia – dal nome impronunciabile – e partecipa alla cena discutendo con Dimitri degli avvistamenti delle Alci. Si capisce che è un cacciatore e che la foresta è la sua casa. Lo si capisce dai suoi movimenti, dai suoi occhi, che sembrano quelli di un’aquila. La foresta ti insegna tante cose: a muoverti, a guardare, a nasconderti e a cacciare animali diffidenti e pericolosi. Capiamo anche che la responsabilità di accompagnare Enrico a caccia, cercando di farlo avvicinare a un alce in bramito, lo stimola e gli procura molto entusiasmo!
La cena comincia con una ciorba – minestra con verdure e carne – buona, gustosa e leggermente piccante. Poi un grande vassoio di carne di maiale cotta sulle brace. Anche questo molto saporito, gustoso, con una montagna di proteine e calorie. Va bene cosi, siamo in Bielorussia. La mattina successiva colazione con piatto di uova, pancetta e del caffè fatto alla turca dal sapore intenso. Ok, ci siamo, si va a caccia. Io andrò con Dimitri a visitare delle zone umide ricche di acquatici. Enrico, entrato in una Dacia con il guardiacaccia, parte alla cerca di questo animale tanto desiderato. Nel pomeriggio vado con Dimitri in visita ad alcune zone, quanto basta per dire che hanno dei laghi di caccia con all’interno migliaia di anatre di tutti i tipi. Sicuramente questo posto ha il potenziale per diventare una grande destinazione per questo tipo di caccia. Poi, nel tardo pomeriggio ritornano anche il guardia con Enrico.
Non trovo le parole per descrivere l’euforia e la felicità di Enrico nel raccontare l’incontro con questo alce maschio dal buon trofeo. Dopo circa un’ora di macchina sono arrivati in una radura con acquitrini tutto intorno. “Ed ecco – racconta -, appena scesi dalla macchina, in un silenzio a dir poco irreale, sentiamo a circa un chilometro di distanza un grande bramito. Secondo il guardia è un grande animale che pochi hanno avuto la fortuna di incontrare. Schivo, furbo e inavvicinabile. A questo bramito di sfida un altro maschio di alce risponde, molto più vicino a noi. Penso ci possano essere 150-200 metri di distanza. Senza pensarci due volte preparo la mia carabina 300 Winchester Magnum e comincio l’avvicinamento, seguito a breve dal guardia. Dopo aver aggirato un acquitrino di una ventina di metri di diametro, il guardia mi invita a fermarmi e ad aspettare i prossimi bramiti. Sento chiaramente quello lontano, mi dà la sensazione che sia nella nostra direzione, in avvicinamento. Ma non sento più l’altro. Voglio proseguire, ma vengo trattenuto per un braccio dal guardia che mi fa segno, con l’indice tra la bocca e il naso, di fare silenzio e non parlare. Lui, cacciatore esperto, aveva percepito la presenza del secondo maschio, vicino. A un tratto anch’io lo sento dimenarsi tra gli alberi e picchiare con le sue difese i rami bassi delle betulle. Mi passa un brivido fino in fondo alla schiena e una dose enorme di adrenalina mi invade. E’ vicino, molto vicino, tanto che ho la sensazione di vederlo chiaramente. Sta guardando verso di noi, forse percependo la nostra presenza. Avanza ancora silenziosamente e, d’improvviso, emette un enorme bramito. Lo vedo chiaramente, sono a circa 40 metri. Carico la carabina e imbraccio, l’animale si sposta leggermente offrendomi il fianco. E’ l’attimo fuggente tanto inseguito, miro e sparo un po’ sotto la spalla. L’alce, colpito con precisione, si abbatte su se stesso, fulminato. Un’esperienza mai vissuta prima, unica davvero: grazie Dario!”.
Acquatici e grandi ungulati sono il fiore all’occhiello della caccia in Bielorussia, dove è possibile insidiare anche il bisonte europeo, l’orso, il lupo e il gallo cedrone, mentre con il cane da ferma di possono incontrare il gallo forcello e il francolino, oltre alle classiche starne presenti ancora in abbondanza. Un vero paradiso per tutti gli appassionati, non vicinissimo a casa nostra ma neanche esageratamente distante. Soprattutto, un posto in cui rigenerarsi immergendosi nell’ambiente, nei panorami, nei sapori e negli odori della Mitteleruopa nella sua parte più orientale, quella cioè maggiormente d’influenza turco-altaica. Un luogo magico in cui riscoprirsi e provare emozioni vere.